Copiare? E perché no?

Mi è capitato di assistere ad un convegno di Marcello Dei, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università di Urbino, circa il copiare a scuola. Il sociologo infatti ha condotto uno studio di ricerca riguardo il copiare a scuola, ricerche che hanno poi dato luce ad un libro dal titolo “Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane”, edito da Il Mulino, e che hanno portato Dei a delle conclusioni, a mio modesto parere, non solo bizzarre, eufemisticamente parlando, ma assolutamente non condivisibili.

Le ricerche condotte dal professore hanno riguardato i ragazzi e le ragazze delle scuole secondarie di primo e secondo grado, e da queste pare emerga che circa il 66% del campione analizzato a scuola copia. Secondo Marcello Dei questi dati sono allarmanti e vanno contrastati, soprattutto se si prende in considerazione il fatto che alla domanda “copiare a scuola chi danneggia?”, solo il 12,8% degli intervistati ha risposto “l’onestà, che è un bene pubblico” e, tra gli insegnanti, solo il 26% del campione ha scelto questa risposta. Da questo, a detta del sociologo, risulta evidente la correlazione tra il copiare a scuola e la corruzione sociale in quanto laddove si dovrebbe insegnare l’educazione civica, le regole del buon comportamento sociale, l’onestà e dove si dovrebbe imparare a diventare dei bravi cittadini ligi alle regole, ovvero la scuola statale, vengono non solo tollerati ma addirittura incentivati comportamenti disonesti come, appunto, il copiare, come che avviene durante le prove Invalsi che determinano gli investimenti, in termini politico-economici, dello Stato sulle scuole e che per questo dirigenti e professori incentivano il copiare così da risultare istituti scolastici “virtuosi”.

Successivamente sono andato a spulciare qua e là per cercare di indagare meglio la follia di certe considerazioni – nonostante io abbia avuto modo di intervenire al convegno e non ho mancato di sottolineare la pericolosità e l’assoluta superficialità di tali teorie – e ho trovato un’intervista in cui Marcello Dei sostiene testualmente che attraverso queste ricerche ha “cercato di esplorare l’ipotesi per cui il dilagare di episodi corruttivi nella società italiana possano avere un qualche collegamento con il tipo di socializzazione offerta ai cittadini, a partire dalla scuola. Ritengo che i dati mi diano ragione: esiste una correlazione statisticamente significativa tra copiare a scuola, ritenere che copiare sia lecito e giudizi più benevoli su comportamenti di trasgressione che riguardano il bene pubblico… In sostanza, chi più copia è maggiormente tollerante verso comportamenti sociali trasgressivi”.

Due considerazioni. Parto con il dire che non riesco a non essere d’accordo con Marcello Dei: la scuola pubblica e statale è il luogo dove si insegna il rispetto delle regole statali e, per questo, aggiungo, la cultura del servilismo, dell’autoritarismo e della paura della punizione; luoghi dove si insegna la necessità dell’omologazione dei saperi e dunque dell’essere, e dove di contro si pratica lo svuotamento dell’individualità, a parte, ovviamente, alcuni casi di professori e professoresse lungimiranti e illuminati che, nonostante tutto, all’interno delle scuole statali, cercano di essere dei granelli di sabbia per questi sistemi.

La seconda considerazione è quella che mi porta a leggere il copiare a scuola come ciò che mette in luce le più evidenti basi capitalistiche della scuola statale. Se Marcello Dei parte dall’assunto secondo cui la scuola dovrebbe essere quel luogo adibito alla costruzione di percorsi di insegnamento delle regole e del rispetto delle stesse – regole ovviamente statali –, io invece do un’altra chiave di lettura: il copiare a scuola potrebbe invece essere figlio dello stesso sistema che la scuola statale vuole creare, ossia un sistema profondamente competitivo, liberista e capitalista. Dunque, copiare a scuola, altro non rappresenterebbe che quel metodo che permette di continuare a gareggiare per arrivare prima degli altri e primo fra tutti: appunto, sistema capitalistico di accaparramento delle risorse da sfruttare a proprio vantaggio. Sotto questa ottica, dunque, il copiare a scuola sarebbe uno dei metodi offerti dalla scuola statale che prepara e introduce al competitivismo capitalista e liberista.

Ed infatti, come nel mondo del lavoro e del commercio, dove sono ferree le regole protezionistiche e dei brevetti, dove ai lavoratori, ad esempio, viene imposto, tra gli altri, l’obbligo di fedeltà al datore di lavoro – sembra paradossale ma in ambito giuslavoristico è chiamato proprio così – e, in particolare, il cosiddetto divieto di divulgazione dell’organizzazione e delle tecniche lavorative, e dove se si contravviene a queste norme si incorre in gravi violazioni civili e penali, così il mondo scolastico statale vede in senso negativo il copiare a scuola appunto perché verrebbero violate le norme della così chiamata leale competizione.

Ed è proprio questo, secondo me, il vero problema e ciò di cui si dovrebbe dibattere: perché gli studenti e le studentesse copiano?

Perché, secondo me, le scuole statali, con i loro programmi evidentemente statali, altro non rappresentano che delle scatole funzionali alla creazione di prodotti spendibili per il buon funzionamento del mercato del lavoro, e la fitta specializzazione verso cui esse continuano a puntare sin dai 14 anni, oltre che i vari provvedimenti governativi, uno fra tutti l’alternanza scuola-lavoro, utili a costruire percorsi di sottomissione alla logica capitalistica e ultra-lavorativistica, non possono considerarsi avulse da un sistema liberista e fortemente competitivo. Questo, evidentemente, è il motivo stesso del copiare a scuola. In questo senso sì che il copiare a scuola è un qualcosa di negativo, ma solo perché mette in mostra il sistema competitivo in cui la scuola statale è parte integrante.

Ma, domanda certamente più importante, perché copiare dovrebbe rappresentare necessariamente un problema, una piaga da estirpare?

Se le scuole fungessero da luoghi di scambio di idee e saperi, aperte al dissenso, volte alla distruzione dell’idea di ruoli fissi di educatore e educando, ossia luoghi dove si pratica l’interscambio di conoscenze e quindi dei ruoli di insegnanti tra professori e studenti, e dove, proprio per questo, il copiare, che non sarebbe più tale, venisse invece incentivato e preso come metodo per imparare insieme per imparare tutti, si darebbe un senso politico-sociale al copiare che diverrebbe, di conseguenza, cooperativismo e solidarietà.

Il copiare a scuola, o meglio il cooperativismo scolastico, dovrebbe essere la base dell’apprendimento, un metodo opensource attraverso cui le persone imparano a delegittimare quel sistema delle conoscenze basato quasi esclusivamente sul copyright e sul protezionismo, mentre invece la scuola statale insegna a costruire quei brevetti a cui prima si accennava.

In conclusione, se il copiare a scuola è un metodo di apprendimento negativo, è solo ed esclusivamente perché rientra in un metodo di apprendimento dei saperi competitivo, ed è questo che va sradicato per costruire invece sistemi aperti a tutti e alla multidisciplinarietà, alla cooperazione e alla solidarietà, ovvero per imparare solo per il gusto e il piacere di sapere.

Nichola Tomeo

Related posts